L’umidità è uno di quei fattori che deprimono la prestazione fisica rendendo più difficoltosa la pratica della gara e dell’allenamento
Tutti conoscono le difficoltà che si incontrano nel praticare attività fisica all’aria aperta in un’afosa giornata d’estate o in una giornata di nebbia autunnale, ma pochi conoscono veramente i meccanismi che portano alla diminuzione della prestazione sportiva. Essi sono sostanzialmente sono due:

a. il primo meccanismo riguarda la termoregolazione e diventa significativo quando abbiamo necessità di raffreddare il nostro corpo. Per termoregolarlo l’organismo suda, in condizioni normali l’evaporazione del sudore sulla pelle è possibile e, poiché tale fenomeno sottrae energia sotto forma di calore, ci raffreddiamo. Quando l’umidità sale il processo di evaporazione è ostacolato; addirittura se l’umidità relativa è del 100% cioè l’aria è satura di vapore acqueo come in condizioni di nebbia, il sudore gocciola e non evapora e noi ci surriscaldiamo. Ciò ci fa sudare ancora di più, portando l’organismo in situazione di disidratazione, una condizione che riduce la performance ed è addirittura pericolosa per la salute se lo sforzo fisico si protrae a lungo. Va ricordato però che non sempre condizioni di umidità eccessiva sono collegate ad abbondanti e penalizzanti sudorazioni. Si pensi a una corsa di mezzofondo in pista, o ad una cronoscalata di pochi chilometri in bicicletta da corsa: l’atleta può sudare molto ma non tanto da andare in disidratazione e surriscaldarsi. Dunque la sudorazione non è la sola causa penalizzante, dal momento che in una fredda e nebbiosa giornata invernale non vi è abbondante sudorazione come in estate, e non vi è il rischio di disidratarsi, ma comunque si va più piano e con maggiore fatica.

b. il secondo meccanismo limitante la prestazione fisica riguarda la captazione dell’ossigeno. Un modo di studiare come le condizioni meteo influenzano la prestazione è quello di riferirsi a modelli fisici molto semplici, partendo magari da quello che spiega il fenomeno dell’evaporazione dell’acqua fino alla saturazione dell’aria quando ci è il 100% d’umidità. In realtà, le condizioni meteorologiche sono il risultato di condizioni dinamiche molto complesse e può essere fuorviante cercare di ridurle a poche grandezze collegate fra loro con formule tutto sommato semplici. Per esempio, tutti i barometri misurano la pressione e tendono a correlarla con condizioni di umidità: in condizioni di pressione alta leggiamo gran secco, mentre in condizioni di pressione bassa pioggia, un modo un po’ grossolano di prevedere che tempo farà. In realtà spesso le condizioni nella parte alta dell’atmosfera (quelle che stabiliscono la pressione) non sono per nulla correlate con lo stato al suolo dove l’atleta pratica l’attività sportiva. Ne risulta quindi che, almeno nelle vicinanze del suolo, temperatura, umidità e pressione atmosferica sono variabili non sempre correlabili; è pertanto sensato, se si vuole studiare l’influsso di una di esse sulla prestazione, fissare le altre due, per esempio chiedendosi: a pari condizioni di temperatura e di pressione, è meglio allenarsi in una giornata umida o in una giornata secca? Quanto si perde nel caso peggiore?

Ecco allora che entra in gioco la pressione parziale dell’ossigeno dal momento che in una miscela di gas come l’aria la pressione totale è la somma delle pressioni parziali dei vari gas che la compongono (legge di Dalton). Fissata la temperatura e a pari pressione atmosferica (P), se Pacq (pressione parziale del vapore acqueo) aumenta, deve diminuire la pressione parziale dell’ossigeno.
Più l’aria è umida e più la pressione parziale dell’ossigeno è minore. Questa situazione è analoga a quella dell’altura, dove la pressione parziale è minore perché minore è la pressione totale. Intuitivamente, si comprende come una minore pressione parziale voglia dire una maggiore difficoltà dell’ossigeno a passare dall’aria al sangue. Ragionare in tali termini è però riduttivo perché un determinato fenomeno fisiologico va studiato sempre quantitativamente; ciò significa indagare ulteriormente se il nostro corpo è veramente penalizzato da una diminuzione della pressione parziale o se, come avviene per altri fenomeni, la situazione è ininfluente finché non si scende sotto una certa soglia.
Come per l’altura, occorre riferirsi al meccanismo con cui l’ossigeno passa nel sangue e cioè alla funzione dell’emoglobina. Se l’emoglobina si legasse all’ossigeno a prescindere dalla sua pressione parziale o meglio si legasse sempre con la stessa percentuale fino a che la pressione parziale non scende sotto una certa soglia, la penalizzazione non ci sarebbe, ma in realtà non è così.

Osservando l’immagine soprastante e considerando che a livello del mare e in condizioni di umidità assente la pressione negli alveoli è di circa 100 mm Hg diminuendo la pressione parziale dell’ossigeno, l’emoglobina lega meno ossigeno e la prestazione atletica ne è penalizzata; in sostanza si ha una sorta di effetto altura. A temperature più basse la saturazione del vapore acqueo arriva molto prima e la penalizzazione è minore perché c’è meno acqua nell’aria. Purtroppo però si può avere il fenomeno della nebbia che porta l’umidità sopra al 100% e così quando respiriamo introduciamo molto vapore acqueo e la pressione parziale dell’ossigeno negli alveoli crolla, tanto che non è raro osservare penalizzazioni ben superiori.
In conclusione possiamo dire che in giornate estive umide o in caso di nebbie autunnali, bisogna tenere in considerazione che il metabolismo aerobico andrà in crisi più facilmente, per via della diversa pressione dell’ossigeno presente nell’aria, con un’intervento precoce e maggiore del meccanismo anaerobico lattacido, che porterà appunto alla produzione di acido lattico nei muscoli e ad una più alta sensazione di fatica. E’ dunque consigliabile tenerne conto procedendo con un’andatura leggermente inferiore a quella che si terrebbe in una giornata secca, per non correre il rischio di “andare in crisi” precoce e non portare a termine la gara o l’allenamento.

Appare chiaro dunque come anche in presenza di temperature miti o fredde sia fondamentale avere una corretta normoidratazione prima di iniziare l’allenamento o la gara e mantenerla durante l’attività fisica con una bevanda idratante, composta sia di sali minerali quali sodio, potassio, cloro e magnesio, che di zuccheri tra cui maltodestrine, glucosio e fruttosio, per facilitare il transito dell’acqua stessa nello stomaco e un facile assorbimento a livello intestinale. La bevanda deve essere a temperatura ambiente e introdotta a piccoli sorsi con cadenza più o meno regolare dai 90 minuti in avanti e per le successive ore nel caso di attività sportiva prolungata, a seconda della propria necessità personale, dell’intensità dell’esercizio e delle condizioni ambientali di temperatura e umidità.

Va ricordato che la comparsa della sensazione di sete rappresenta già una disidratazione del 2%, con diminuzione della capacità prestazionale durante lo sport, e che non si dovrebbe mai raggiungere una disidratazione del 5% del peso corporeo per non iniziare ad avere problemi di salute quali innalzamento della frequenza cardiaca e diminuzione della pressione arteriosa, situazione che porterebbe all’immediato decadimento della performance sportiva. Oltre un 5% di perdita di liquidi si possono avere serie problemi fisici e colpo di calore con innalzamento della temperatura corporea, la performance fisica è naturalmente compromessa, e si può anche andare incontro ad arresto cardiaco e morte. Appare dunque davvero importante valutare quando sia veramente opportuno praticare attività fisica all’aperto e naturalmente organizzarsi in maniera opportuna nel caso in cui non ci si possa astenere dal praticarla.